Ombra e desiderio (II)
Alfred Hitchcock, il maestro del brivido cinematografico, ha da sempre saputo esplorare il lato oscuro dell’animo umano, quel desiderio nascosto e inquietante che il pubblico al tempo stesso teme e cerca. Nel film biografico Hitchcock (2012), diretto da Sasha Gervasi, viene raccontata non solo la vita privata del regista, ma soprattutto il complesso intreccio tra la sua ombra interiore e la figura di sua moglie Alma, un’ombra che fa da equilibrio e che tuttavia reclama un proprio spazio. È proprio in questa tensione tra luce e ombra che si gioca la genesi di capolavori come Psycho, dove il regista si confronta finalmente con i suoi demoni più profondi, dando forma a un racconto universale di paure e desideri repressi.
"Il pubblico desidera essere scioccato". Già, perché da una parte releghiamo il nostro lato oscuro nella profondità alienandolo e proiettandolo, dall’altra non possiamo fare a meno di esso cercandolo nelle immagini.
Hitchcock - film biografico diretto da Sasha Gervasi (2012) - narra la vita del “maestro del brivido” e il suo rapporto con la moglie Alma, compagna di vita che nell’ombra fa ordine nell’esistenza del regista. Un’Alma - un’Anima - nell’ombra. È un momento di rottura di equilibri, Alma vuole il suo spazio, non accetta più di essere l’ombra del marito e gliela restituisce. Non è un caso perché il grande cineasta sta per mettere in scena Psycho, in cui, mai come prima, si identificherà con il protagonista, per il complesso rapporto con la figura materna e il femminile. Finora Hitchcock ha sublimato il suo dramma infantile nel rapporto con le protagoniste dei suoi film e con Alma. Sua moglie è la forza vitale che però non può offuscare l’immagine del grande regista, un bambino bramoso inappagato che reitera in una coazione a ripetere nei suoi film il suo antico dramma abbandonico. Per Hitchcock proseguire da solo, lasciando andare l’immagine ipertrofica che Alma gli consegnava, significa uscire da quella coazione. Questa volta lo fa in un modo diverso, non più autistico: condivide con il pubblico le sue paure più perturbanti, rispecchiandosi in quella coralità umana che gli consente di assolvere se stesso dai suoi lucidi deliri psicotici, accettandoli come desideri e fantasie che - se spartite - possono trasformarsi in immagini di senso, non più terrifiche, ma parte di un tutto creativo: un film.
Con Psycho, Hitchcock compie un passo decisivo: smette di nascondere il suo lato oscuro nell’ombra della moglie e lo restituisce al mondo, condividendo con il pubblico le sue inquietudini più intime. In questo modo, ciò che era un tormento personale si trasforma in un’esperienza collettiva, un rito di purificazione attraverso l’immagine e la narrazione. Il desiderio dell’ombra non è più un peso da nascondere, ma un elemento creativo capace di trasformare il terrore in senso, la paura in arte. È questa la cifra del genio di Hitchcock, che ci insegna come confrontarsi con le nostre ombre possa rivelarsi la chiave per comprendere noi stessi e il mondo che ci circonda.