C’era una volta

a Hollywood

Con C’era una volta a… Hollywood (2019), Quentin Tarantino firma un omaggio nostalgico al cinema degli anni ’60, ma anche un viaggio simbolico nell’interiorità umana. Ambientato nel 1969, il film racconta la storia di Rick Dalton, un attore in declino, intrecciando finzione, memoria collettiva e mito hollywoodiano in una narrazione che diventa anche esplorazione psicologica.

Tarantino ambienta il suo nono lungometraggio (2019) nel mitico ‘69.

Rick Dalton (Di Caprio) è un attore in declino che sembra dare senso alla sua esistenza solo nella finzione cinematografica, quando si permette di mettere in scena le sue potenzialità. Nella vita reale è perso nell’alcolismo, schiacciato da sovrastrutture nevrotiche, lezioso e fragile. Delega a Cliff (Brad Pitt), la sua controfigura sulla scena - suo Alter Ego psicologico - la parte vitale e perturbante, l’Ombra. Il protagonista si muove in uno sfondo indifferenziato, di pre-contatto, ma possiamo già intravedere qualcosa sotto la superficie. Cliff si fa portatore di un’energia selvaggia e profonda, indomata quindi spaventosa e pericolosa: “si dice che abbia ucciso la moglie”. In questa fase non c’è consapevolezza o energia e il nostro eroe brancola nel buio della sua Ombra, il cui lavoro sporco spetta a Cliff, che lo esegue senza esimersi, con il sorriso sulle labbra, anzi godendo di questa fatica. I tempi non sono ancora maturi per Dalton: non c’è presa di responsabilità, solo dolore e rabbia. Finché un giorno incontra un’attrice di 8 anni, Marabella, bambina-Vecchia Saggia che sa tutto sull’esistenza umana: “è il perseguimento quello che conta”. In questo singolare incontro Dalton ha modo di guardarsi dentro e rendersi conto della sfiducia verso se stesso - “Non è più il migliore. Sta venendo a patti con come ci si sente a diventare ogni giorno leggermente più inutile” - mentre Marabella si impegna per raggiungere il suo scopo, senza smettere di emozionarsi. Sulla scena Dalton riesce a dare il meglio di sé, è integro, non più scisso, autentico. Marabella presta un volto all’Anima, al sacrificio e alla resurrezione, capace di lenire le ferite di Dalton infondendogli fiducia. Come una rivelazione, emerge dallo sfondo: una sensazione si trasforma nel bisogno di essere sé stesso non solo nella finzione, trovando il coraggio di stare al mondo. In questo momento di contatto pieno può assaporare e masticare l’esperienza a piccoli morsi per gustarne tutti i sapori. Dalton si è confrontato con la sua Ombra, ha integrato la sua parte sconosciuta e quindi alienata, infatti Cliff si sta occupando di altro. “Sei un buon amico Cliff" – gli dice Dalton. Cliff ha compiuto il suo compito di guida e Dalton può proseguire con un’immagine di sé arricchita. E tutti vissero felici e contenti a pulp-Hollywood.

Tra realtà e rappresentazione, Tarantino ci offre una favola nera e luminosa allo stesso tempo, in cui il protagonista riesce finalmente a integrare le proprie ombre e a rinascere. C’era una volta a… Hollywood diventa così non solo un racconto sul cinema, ma anche una parabola sulla possibilità di trasformazione interiore tra sogno e celluloide.

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