NORMAL PEOPLE | ETHOS

Normal People ed Ethos mettono in scena il bisogno umano di connessione e il desiderio, spesso inconscio, di comprendersi e guarire.
Due storie che raccontano il passaggio da un silenzio interiore alla ricerca di senso, tra relazioni intense, scelte difficili e percorsi emotivi che si intrecciano con la fragilità. Un viaggio che, passo dopo passo, apre alla possibilità di chiedere aiuto e trasformarsi.

DUE ”NORMAL PEOPLE” TRA LUCI E OMBRE
Il primo episodio della mini serie Normal People, ispirata all’omonimo romanzo di Sally Rooney, si apre con il punto di vista di Marianne, la protagonista femminile. La telecamera la inquadra di spalle mentre cammina nel corridoio della scuola: chissà a cosa pensa, che emozioni la abitano, ma è un attimo, poiché l’inquadratura cambia e si concentra sugli altri ragazzi e il protagonista maschile della serie, Connell. Quella ragazza che ci volta le spalle, comunica tutta la sua complessità, difficile da decifrare. Infatti, in classe ce ne dà un saggio. Indubbiamente un’adolescente che si distingue sia per intelligenza che per sensibilità e un’apparente ruvidità. Anche Connell sembra non conformarsi troppo al gruppo, più studioso, educato. Si assomigliano e allo stesso tempo si discostano. Due mondi allo specchio, due facce della stessa medaglia. Lui riesce ad integrarsi nel gruppo sociale pur mantenendo la sua individualità ed è apprezzato per i suoi risultati sportivi. Lei viene tollerata, probabilmente per i suoi voti e lo status sociale, anche se non integrata nel gruppo. Due mondi che si guardano, si studiano, si avvicinano; c’è un terreno comune, sia psichico che concreto. La madre di lui fa le pulizie a casa di lei. Il contesto familiare di Marianne è assente ed anaffettivo: il fratello la svaluta, la madre la ignora. Connell invece ci appare vicino a una figura di accudimento, la madre, attenta ed affettuosa, il resto non c’è.

IL FRAGILE CONFINE TRA DENTRO E FUORI

Due personaggi che, con le loro caratteristiche, possono raffigurare un’unica entità polarizzata: c’è una sensibilità ed introspezione condivisa, una parte socialmente integrata (lui) ed una parte più in ombra (lei), ma questo è solo l’inizio di una lunga storia e di una profonda solitudine in entrambi. Succede che, sempre nel primo episodio, queste due parti si avvicinano, nasce un bisogno di conoscenza e svelamento, ma è sempre tutto molto tormentato. Ora, la telecamera inquadra una strada che sembra essere un bivio, c’è un fermo immagine, un momento di riflessione (?!), e poi il ragazzo fa retromarcia e imbocca la strada che conduce a casa di lei. Mi fa pensare ad un bisogno che spinge l’individuo, dopo un periodo di introspezione, verso un percorso terapeutico: c’è un desiderio, una motivazione, più o meno consapevole, per andare verso qualcosa di nuovo, che forse spaventa.

DIECI EPISODI PER POTERSI SENTIRE NORMALI (E CHIEDERE AIUTO)
Non lo dobbiamo dire a scuola!”. C’è la volontà di nascondere il desiderio reciproco di intimità e il bisogno di chiedere aiuto, non ancora individualmente e socialmente integrato. Infatti, i due protagonisti sembrano ossessionati nel cercare nell’altro una parte di sé mancante. Inizia così un bisogno spasmodico di possedersi. Nell’amplesso, è come se tutto ciò che li tormenta venisse messo a tacere, ma in maniera effimera, come un assetato che beve da una brocca con una crepa: la sete non si placa. Così, la ricerca di quel femminile e quel maschile, assente ma necessario per entrambi, continua. C’è solo questo richiamo, il bisogno è ancora inconscio.

I ragazzi, dopo essersi reciprocamente svelati nei loro sentimenti (più lei che lui), vogliono salvaguardare (più lui che lei) la relazione (terapeutica) e forse non ancora pienamente legittimarsi la scelta di aderire a ciò che desiderano.

È solo nel decimo episodio che Connell chiederà concretamente un aiuto terapeutico. Come a significare la fatica che accompagna la scelta di iniziare una terapia: ci sono voluti 10 episodi e un grave evento traumatico. Alle volte non basta una continua sofferenza interiore, occorre una doccia fredda per mettersi in discussione.

ETHOS: IL MOVIMENTO CHE TRASFORMA

Diversamente accade in Ethos, una serie turca diretta e prodotta da Ali Farkhonde e Nisan Ceren Gocen, del 2020, otto episodi di cui al momento purtroppo non è previsto un seguito. Questa serie, soprattutto il primo episodio, è una perfetta fotografia del processo che spinge un individuo ad intraprendere un percorso terapeutico: vediamo come.

Per trasmetterci il suo messaggio, il regista ha utilizzato molte immagini simboliche che supportano la narrazione. Come a voler mostrare agli spettatori che i due linguaggi, quello dell’inconscio e quello della coscienza, sono legati tra loro e come ognuno è in grado di comunicare con noi.

Le prime scene che appaiono sullo schermo, appena inizia la proiezione, sono molto emblematiche, oniriche: vediamo Meryem, la protagonista (anzi una delle protagoniste, perché sono varie storie con un filo conduttore comune) che percorre un sentiero rurale (quindi non strutturato, diremo selvaggio, istintuale), c’è la nebbia (qualcosa che offusca la visione e la coscienza) e a poco a poco, da questa salita erbosa, si giunge a una strada asfaltata, si incomincia a intravedere la città, qualcosa di più urbano, più strutturato, come se dalla profondità di un bosco interiore si arrivi ad una superficie piena di stimoli, che non sono più i rumori della natura ma i rumori della metropoli, con le sue strade, il traffico e il caos.

È un percorso che dal basso, e quindi dall’inconscio, avvolto ancora dalla “nebbia” psichica, spinge verso l’alto della consapevolezza ed è questo il processo che occorre affinché arrivi a coscienza lo stimolo che ci spinge ad intraprendere un percorso terapeutico. Il regista fa compiere questo percorso a Meryem, letteralmente, dal profondo alla superficie, per mostrarlo a noi spettatori.

LA FIDUCIA COME PRIMO PASSO: AFFIDARSI PER CAPIRE

Meryem andrà realmente in terapia. Cosa “spinge” nella realtà una persona a rivolgersi ad un terapeuta in un dato momento e non in un altro? Abbiamo detto che prima di tutto ci deve essere un movimento interno, conscio e inconscio. La nostra Meryem non è ancora molto consapevole: a fronte di un sintomo, uno svenimento, le viene consigliato di rivolgersi ad una terapeuta, ma la giovane non ha ancora sviluppato una coscienza ed una motivazione. Meryem si “assenta” in momenti per lei fortemente ansiogeni, legati ad un tema psicologico (che vedremo nei prossimi episodi). Quindi non è lei a scegliere quale terapeuta contattare. Quali sono i criteri, invece, che ci spingono verso un terapeuta piuttosto che un altro? Come “scegliamo” una serie tv, quali caratteristiche deve avere? Per quanto mi riguarda ho scelto Ethos perché mi è stata consigliata e perché affine, come genere, ai miei interessi. Per fare un parallelismo, quante volte ci siamo affidati al passa parola per scegliere un professionista, una terapeuta... Per sentirci a nostro agio, rivolgersi a qualcuno che ci rispecchi può essere un incentivo rassicurante. Come abbiamo detto, Meryem non ha scelto, ma si è affidata, “forse” istintivamente. Infatti Meryem non ha una domanda esplicita da portare nel setting terapeutico: come spesso avviene, in figura c’è un disagio, un dolore, un sintomo, il resto è sepolto.

SCENDERE PER RISALIRE

Occorre un movimento dal basso verso l’alto, per creare quella spinta motivazionale ad intraprendere e continuare un percorso terapeutico, ma è altrettanto importante che vi siano movimenti interni, che dall’alto della consapevolezza possano tornare a toccare le nostre viscere. Così che dal caos della città si possa tornare ai suoni della natura. Quindi un percorso che non evolve in linea retta, ma è fatto di circolarità, di tuffi profondi e di riemersioni, affinché la coscienza possa dare significato a sensazioni ed emozioni incarnate, alfabetizzare ciò che ancora non lo era.

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