I'M STILL DEBORAH VANCE!

HACKS: IL PRIMO EPISODIO

La serie Hacks si apre con un doppio sguardo: il pubblico e il privato. Il primo episodio si rivela come una prima seduta di terapia, tra maschere, resistenze e possibilità di trasformazione. Un viaggio psicologico e narrativo che mette a fuoco quel confine sottile — e potentissimo — in cui può nascere un vero contatto.

LUCE SUL PALCO, OMBRA NEL BACKSTAGE

Per i primi tre minuti la vediamo solo di spalle: una diva elegante, sicura di sé, parla a un pubblico immerso nell’oscurità – la luce è tutta per lei. Fa battute sarcastiche, raccoglie applausi. Sipario: le tende si chiudono.

Un sottofondo jazz la accompagna nel backstage, sempre inquadrata di spalle. Riceve complimenti, è circondata dai collaboratori, finché finalmente compare il suo volto: riflesso nello specchio del camerino. Poi via, di corsa fuori dal teatro per firmare autografi, e subito in macchina verso l’aeroporto. La vediamo in una televendita, poi a un servizio fotografico, poi di nuovo in volo. Ancora voli, automobili, scatti, luci.

PERSONA E OMBRA: LA DOPPIA SCENA

Ma quando Deborah congeda il suo autista, la musica cambia: si fa malinconica. Appare una grande villa, entra. Di nuovo uno specchio, ma stavolta è quello di casa sua. Si toglie la parrucca, prepara la cena per sé e per i suoi cani, segue la sua beauty routine a letto. Sipario – ora sono le tende della sua stanza a calare. Titolo: Hacks, in giallo su nero.

Come accade spesso in terapia alla prima seduta, i primi istanti sono un mélange travolgente di sensazioni e impressioni, luci e ombre. A volte l’analizzando appare solo di spalle, oscurato dalla propria Persona, da ciò che fa nel mondo. Poi, forse, scorci della casa interiore iniziano ad affiorare: momenti di solitudine, smascheramento, intimità. E infine arriva la domanda esplicita – non sempre la “vera” domanda, ma quella più accessibile, la famosa punta dell’iceberg.

Il primo contatto con Hacks è questo: due mondi. Il pubblico e il privato. Uno rumoroso ed energico, l’altro silenzioso, quasi depresso.
Da questa scena iniziale, fortemente polarizzata, emerge subito il nodo centrale. Lo scopriamo nello scambio tra Deborah e Marty, proprietario del Palmetto, lo storico teatro di Las Vegas dove lei si esibisce da una vita. Marty le comunica che intende ridurre i suoi spettacoli per far spazio ad artisti “più giovani”.

DUE PROTAGONISTE, DUE CRISI

Ed ecco comparire l’altra protagonista: Ava Daniels, 25 anni, autrice di Los Angeles, brillante e ambiziosa. Anche lei in crisi: è stata licenziata per un tweet politicamente scorretto. La vediamo mentre tenta di ottenere nuovi incarichi dal suo agente Jimmy, che – guarda caso – è anche l’agente di Deborah. Proprio mentre Deborah lo chiama per lamentarsi con furia.

Ed è così che Jimmy fa da ponte tra le due. Propone a Deborah di farsi affiancare da Ava per rinnovare i testi dei suoi spettacoli di stand-up, sperando che lei ritrovi smalto e che Ava riesca a rimettersi in carreggiata.

Come spesso accade in terapia, le risorse sono già lì – potenzialità in attesa di essere riconosciute e messe in dialogo. Serve solo lo spazio giusto per convocarle o una funzione che le metta in contatto. In ambito psicologico, endopsichico, è la funzione trascendente; in Hacks, è Jimmy.

L’incontro tra Deborah e Ava sembra improbabile – come spesso appare l’inizio di una terapia. Solo attraverso la relazione con l’altro, e con noi stessi, possiamo avvicinarci a ciò che non si osa neanche pensare. Entrambe agiscono spinte da un istinto di sopravvivenza creativa: Deborah vuole restare sulla cresta dell’onda; Ava essere riammessa dopo l’esilio e, semplicemente, sbarcare il lunario.
Come spettatori, cogliamo subito il loro fascino – e soffriamo con loro. Attraverso l’arte creano loro stesse, ma ora sono bloccate. Deborah è irrigidita in battute consumate, Ava è senza filtri, priva di confini.
Devono fermarsi, osservarsi, rivedersi. Deborah ha bisogno di ritrovare la sua Ava interiore; Ava, invece, di apprendere da Deborah, il sé adulto proiettato nel futuro.
Nel primo episodio, intitolato There Is No Line (frase chiave di Deborah ad Ava), Deborah riceve la notizia della morte dell’ex marito, emergono i suoi difficili rapporti familiari, vengono introdotti personaggi secondari: la figlia incapace di emanciparsi, Marcus – solido braccio destro – e la ex di Ava, per cui lei prova ancora qualcosa.

POTENZIALITÁ AL CONFINE (DI CONTATTO)

Il loro primo incontro sembra destinato al fallimento: Ava vola da Los Angeles a Las Vegas, arriva nella sfarzosa villa di Deborah. Tra loro non c’è simpatia: Deborah è ostile, Ava distante. Il dialogo si trasforma in una raffica di frecciate, un’escalation di tensione. Ma poi, qualcosa cambia: Ava chiude la porta con una battuta così acuta da spingere Deborah a rincorrerla. La lite si trasforma in uno scambio di battute brillanti, una specie di duello creativo. È il momento chiave: Deborah assume Ava.

In termini gestaltici, siamo al confine di contatto: là dove l’incontro con l’altro può diventare rottura... oppure possibilità. Il conflitto iniziale non è solo distruttivo: è anche il luogo in cui può emergere qualcosa di nuovo, se le due parti restano sufficientemente presenti da sostenere la tensione. È lì che si manifesta la creatività del contatto — non l’adattamento passivo, ma la trasformazione reciproca.

Questa difficile negoziazione ricorda il patto terapeutico: un accordo che nasce tra dubbi e resistenze, ma che apre uno spazio intermedio dove iniziare a guardarsi – e a porsi domande.

PLAY: DAL TRAILER ALL’INIZIO DELLA TERAPIA
Dopo aver visto il trailer, ho scelto Hacks tra le mille proposte di Netflix seguendo un’intuizione. Lo stesso tipo di impulso che spesso guida la scelta di un terapeuta online: non un consiglio ricevuto, ma una ricerca attiva, personale, a volte solitaria.
È un po’ come trovarsi davanti a un lago o al mare — uno ha confini, l’altro sembra infinito. In entrambi i casi, si comincia immergendo un piede, per sentire la temperatura dell’acqua. E poi — se ci convince — ci tuffiamo. Oppure rimandiamo il bagno, restando ancora un po’ sul bagnasciuga.
È quello che è successo a me prima di iniziare la mia prima terapia: ho custodito il numero della terapeuta in tasca per mesi, aspettando il momento giusto per chiamarla.
Con Hacks, invece, dopo il primo episodio non ho esitato: mi ci sono tuffata. Forse perché, a volte, siamo pronti prima di accorgercene. E proprio come accade con una serie, anche la terapia a volte comincia così: premi play su qualcosa che ti parla, e scopri uno spazio in cui immaginare.

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